Il mio corso di tedesco
Giugno 2008. La scuola è agli sgoccioli e la tepidezza primaverile è stata ormai sostituita dalla calura estiva. Come consuetudine, i miei zii provenienti dalla Germania sono venuti a trovarci per qualche giorno, prima di ripartire per la costa romagnola, dove dal 1967 trascorrono le vacanze. Prima di continuare, devo specificare un fatto rilevante per la continuazione del racconto: mio zio (o meglio prozio), nato e cresciuto in Italia, parla bene la nostra lingua, anche se qualche sbavatura accompagna spesso i suoi discorsi; mia zia invece, originaria di Colonia, non conosce l’italiano, né si sforza di imparare le parole più basilari, come “grazie” e “buongiorno”. Da qualche mese ho compiuto otto anni e la mia passione per i giochi di carte è inarrestabile. Chiedo a mio zio se vuole giocare ed accetta prontamente. Lo stesso fa mia nonna. Mi sono dimenticato di dirvi che mia nonna, che vive assieme alla mia famiglia, conosce il tedesco alla perfezione, avendo lavorato per molto tempo a Zurigo: è da quando ho iniziato la prima elementare che mi esorta a frequentare un corso di tedesco. Ma torniamo alle carte. Siamo tre persone pronte a giocare, un numero insufficiente per ciascun gioco a me noto. Inizio a disperarmi. Il sudore, provocato dalla delusione di non giocare, e, al contempo, dall’eccessivo calore, mi pervade. Tutto ciò non passa inosservato a mio zio, che, vedendo sua moglie prendere il sole su una sdraio, fuori in giardino, ha un’idea a dir poco geniale: chiamare la zia a giocare con noi! Tuttavia, le cose sono più complesse del previsto: infatti, lui non intende alzarsi dalla sedia e spinge me dalla zia. Sorge un problema di vasta portata a questo punto: né io so il tedesco, né lei l’italiano. Dopo qualche mia ritrosia, mi convinco ad andare (il mio desiderio di giocare a carte è troppo ardente), non prima di aver imparato a memoria la frase che permetterà di farmi comprendere alla zia. La fatidica domanda viene inculcata nella mia mente dallo zio che, armato di buona pazienza, me la ripete per cinque minuti buoni. “La so, l’ho imparata!”, esclamo ad un certo punto. Fiducioso in me stesso, mi dirigo fuori in giardino dalla zia e recito la formula magica appena appresa, che suona circa così: mostestdumitmirkartenspilen? Traduco per i non germanofoni: “vorresti giocare a carte con me?” Mia zia si alza subito dalla sdraio e, dopo aver risposto con un forte e deciso ja danke (sì, grazie), mi segue fino al tavolo. Finalmente si può giocare, ma la fatica è stata molta! Prima di iniziare però, mi rivolgo alla nonna, sottolineando come un corso di tedesco è ora del tutto inutile, dato che ormai conosco quanto mi è sufficiente. Lei scoppia a ridere.
Sono passati quasi quattordici anni da quel giorno, ma lo ricordo ancora perfettamente. D’altronde, quella domanda, stampata nella mia mente, l’ho ripetuta costantemente in tutta la mia esistenza, ogni qualvolta volessi sfoderare le mie capacità linguistiche.
Sono passati quattordici anni, e adesso, grazie al corso di tedesco che ho frequentato negli ultimi mesi, so che la domanda si scrive in questo modo: möchtest du mit mir Karten spielen?
Sono passati quattordici anni, e ora frequento un corso di tedesco in onore di mia nonna, che lo conosceva da madrelingua, e di mia zia, che madrelingua era e mai aveva desiderato imparare l’italiano.
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Racconto di Carlo Maria Biotti
Selezione del Concorso letterario Il Cavedio "Il mio corso di..." 2022
Giugno 2008. La scuola è agli sgoccioli e la tepidezza primaverile è stata ormai sostituita dalla calura estiva. Come consuetudine, i miei zii provenienti dalla Germania sono venuti a trovarci per qualche giorno, prima di ripartire per la costa romagnola, dove dal 1967 trascorrono le vacanze. Prima di continuare, devo specificare un fatto rilevante per la continuazione del racconto: mio zio (o meglio prozio), nato e cresciuto in Italia, parla bene la nostra lingua, anche se qualche sbavatura accompagna spesso i suoi discorsi; mia zia invece, originaria di Colonia, non conosce l’italiano, né si sforza di imparare le parole più basilari, come “grazie” e “buongiorno”. Da qualche mese ho compiuto otto anni e la mia passione per i giochi di carte è inarrestabile. Chiedo a mio zio se vuole giocare ed accetta prontamente. Lo stesso fa mia nonna. Mi sono dimenticato di dirvi che mia nonna, che vive assieme alla mia famiglia, conosce il tedesco alla perfezione, avendo lavorato per molto tempo a Zurigo: è da quando ho iniziato la prima elementare che mi esorta a frequentare un corso di tedesco. Ma torniamo alle carte. Siamo tre persone pronte a giocare, un numero insufficiente per ciascun gioco a me noto. Inizio a disperarmi. Il sudore, provocato dalla delusione di non giocare, e, al contempo, dall’eccessivo calore, mi pervade. Tutto ciò non passa inosservato a mio zio, che, vedendo sua moglie prendere il sole su una sdraio, fuori in giardino, ha un’idea a dir poco geniale: chiamare la zia a giocare con noi! Tuttavia, le cose sono più complesse del previsto: infatti, lui non intende alzarsi dalla sedia e spinge me dalla zia. Sorge un problema di vasta portata a questo punto: né io so il tedesco, né lei l’italiano. Dopo qualche mia ritrosia, mi convinco ad andare (il mio desiderio di giocare a carte è troppo ardente), non prima di aver imparato a memoria la frase che permetterà di farmi comprendere alla zia. La fatidica domanda viene inculcata nella mia mente dallo zio che, armato di buona pazienza, me la ripete per cinque minuti buoni. “La so, l’ho imparata!”, esclamo ad un certo punto. Fiducioso in me stesso, mi dirigo fuori in giardino dalla zia e recito la formula magica appena appresa, che suona circa così: mostestdumitmirkartenspilen? Traduco per i non germanofoni: “vorresti giocare a carte con me?” Mia zia si alza subito dalla sdraio e, dopo aver risposto con un forte e deciso ja danke (sì, grazie), mi segue fino al tavolo. Finalmente si può giocare, ma la fatica è stata molta! Prima di iniziare però, mi rivolgo alla nonna, sottolineando come un corso di tedesco è ora del tutto inutile, dato che ormai conosco quanto mi è sufficiente. Lei scoppia a ridere.
Sono passati quasi quattordici anni da quel giorno, ma lo ricordo ancora perfettamente. D’altronde, quella domanda, stampata nella mia mente, l’ho ripetuta costantemente in tutta la mia esistenza, ogni qualvolta volessi sfoderare le mie capacità linguistiche.
Sono passati quattordici anni, e adesso, grazie al corso di tedesco che ho frequentato negli ultimi mesi, so che la domanda si scrive in questo modo: möchtest du mit mir Karten spielen?
Sono passati quattordici anni, e ora frequento un corso di tedesco in onore di mia nonna, che lo conosceva da madrelingua, e di mia zia, che madrelingua era e mai aveva desiderato imparare l’italiano.
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Racconto di Carlo Maria Biotti
Selezione del Concorso letterario Il Cavedio "Il mio corso di..." 2022